Ho passato la vita a coltivare un sogno. E quel sogno era caldo e confortante. E il sogno aveva le sue leggi. E l’unica legge del sogno si riferiva all’arte sottile del far sedere persone attorno a un fuoco comune, che le potesse riscaldare da ogni freddo, fino a renderle, con il tempo, luminose scintille della sua propagazione.
Ma le persone erano spesso distratte mentre raccontavo loro del sogno, e preoccupate che ci fosse sempre la miglior difesa per il proprio castello di abitudini. La paura di non riuscire nell’intento si leggeva evidente nei loro occhi, e questo rendeva improduttivo raccontare le favole, perché queste, parlando il linguaggio delle antiche storie, pieno zeppo dei colori e delle forme professate da coloro che vi avevano creduto, non avrebbero attecchito sulle loro preoccupazioni in bianco e nero. Bisognava rimanere vigili, pensavano, o apertamente dicevano guardandomi con commiserazione, per porre argine agli assalti di tutti i nemici, reali o immaginari che fossero. Ed erano assai impaurite alla prospettiva di diventare fiamma, sia perché non ritenevano di averne lo splendore, la necessaria mutevolezza e la giusta intraprendenza, sia perché non riuscivano a immaginare come si potesse fare a innalzare l’ardore e la vitalità o infine a concepire un futuro contagioso che potesse ergersi fino al cielo dalla mediocrità del presente.
Sapevano solo che in un certo momento erano nate, di avere ereditato, dai propri parenti, una serie di procedure diverse per potersi relazionare al focolare senza avere contatti diretti con la fiamma, e di avere imparato ad usarne alcuni, accantonato altri, tradito altri ancora, mantenendo, in tutti i casi e ad ogni costo, una prudente distanza dalle braci. Del fuoco, infatti, temevano le ustioni, ed erano più propensi a valutare i rischi e le minacce piuttosto che il potere di trasformazione che possedeva.
Ma io venivo dal regno del sogno, ed avevo goduto del suo splendore e della sua incredibile diversità. E se alla fine ne ero emerso, non era stato per volontà mia o per mia intima convinzione, ma solo per assecondare una chiamata che sentivo vincolante al modo di un’investitura: condividere con chi non aveva ricevuto la stessa sorte le istruzioni ricevute.
E il mio nome, dal mio ritorno, fu Mabon. Figlio di Modron. Rapito, dal suo grembo, tre giorni dopo la nascita, e confinato nel non tempo dell’Annwfn per contemplare e apprendere le mie arti future. Fui salvato da Artù e dai suoi compagni, ma non ritenni mai che il mio tempo del sogno fosse stata una sorta di prigione. Stavo bene in quella dimora eterna, perché niente vi accadeva che trovasse in qualcosa la sua causa di essere. Solo la consapevolezza immortale pareva scorrere, priva di volontà apparente, la trama infinita degli accadimenti. In quel luogo di beatitudine compresi fino in fondo che differenza ci fosse tra l’ebbrezza estatica della Cicala, per sua natura nemmeno sfiorata dalle successioni lineari di causa ed effetto, e la volontà organizzata, costruttiva e priva di originalità, della Formica. Per equilibrare questa a quella percorsi la Ruota della Vita. Per insegnare agli uomini della carovana che solo nella quiete della sera, una volta raggiunta l’oasi dopo una faticosa giornata di cammino, nella contemplazione che l’anima ha di sé stessa, il sogno spiega nuovamente le sue ali.
La Ruota intesse sulla terra, nelle infinite sfumature del cielo, le energie del movimento. Perché questo è reso possibile dalla progressione cinetica della luce e dell’ombra. Ogni azione umana, ogni progetto, nasce infatti dallo squilibrio energetico tra ciò che avanza e ciò che recede. Le coppie di opposti che disciplinano ogni recesso della vita umana: la consapevolezza e l’ignoranza, la ragione e l’istinto, la ricchezza e la miseria…la cicala e la formica. Niente è inutile o dannoso, ma, affinché il movimento continui a incarnare la vita trasformandola in storia, qualcosa deve crescere e qualcosa diminuire. Così, da ogni passo si può intuire il successivo, fino a stabilire una prospettiva di senso, un ordine, là dove la differenza energetica stabilisce un movimento.
Ma io sono Mabon, signore della quiete dell’Annwfn, e quando i punti della Ruota raggiungono l’equilibrio dinamico delle forze in campo – ciò che voi umani chiamate equinozio – io offrirò al pellegrino la possibilità di specchiarsi nella propria immagine ancestrale, ammantato della quale, in “illo tempore”, nudo di realizzazioni e desideri, libero da minacce e paure, distaccato da bramosie e attaccamenti, varcava il portale del silenzio. E da questa assenza di movimento, nel pieno sovvertimento della coerenza dei passi, nel buio della pienezza irrisolta, appagata di pura potenzialità, scaturisce infine la scintilla del fuoco alchemico. Il sogno che forgia un nuovo anello della spirale. Quando il cammino riprenderà, sarà rinnovato. Quando la vita riprenderà coscienza di sé, sarà una nuova vita. Questo vi auguro figli miei, che i giorni della mia primavera, che albergate intatti nelle aule più segrete del vostro animo silente, tornino a garrire come stendardi colorati nel tiepido sole del mattino.